Mistica y Padres de la Iglesia

Un breve status quaestionis

L’ obiettivo di questa voce è fornire al lettore interessato al rapporto tra Mistica e Padri della Chiesa una sorta di mappa del territorio, perché possa avere una prima idea generale delle caratteristiche specifiche della questione e possa così orientarsi all’interno di un argomento non facile a essere ricondotto a una unità strutturata. Per i motivi che saranno chiari nel proseguimento della nostra esposizione, non è probabilmente possibile dare la risposta completa che forse un lettore si aspetterebbe. Ma, come altro lato della medaglia, è un campo dove ancora molte ricerche possono essere fatte, così da poter avvicinarci a una visione di insieme più completa, che allo stato attuale delle cose, ancora non può essere composta.

Una delle evidenze di quanto stiamo dicendo è il fatto che non esiste a tutt’oggi un’opera che affronti direttamente la questione della mistica nei Padri. Per quanto sappiamo esistono due voci specifiche, la voce “Padri” nel Dizionario di Mistica (PASQUATO, 1998) e la voce “Mistica” nel Nuovo Dizionario di Patristica e Antichità cristiane (MORESCHINI, 2006).

Quest’ultima accenna fondamentalmente alla linea alessandrina (Filone, Clemente, Origene, Evagrio e lo Ps. Dionigi) presentando brevemente alcuni aspetti generali. Quella scritta da Pasquato, sostanzialmente, articola le indicazioni del fondamentale articolo di L. Bouyer (BOUYER, 1949) sulla storia dell’uso antico del termine mistica/mistico, con in più la indispensabile menzione della questione del mistero, come del resto fa anche Moreschini. A nostro avviso, pur nella sua necessaria brevità, fornisce le coordinate essenziali per affrontare la questione, come mostreremo in questa sede.

Altre informazioni le si trovano nella parte “storica” delle voci di dizionario o di opere che trattano di mistica. Ma sono sempre accenni generali, che riguardo ai Padri o accolgono le conclusioni dell’articolo di Bouyer, o vengono praticamente ignorati, come, per esempio, nella voce “Mysticism” della Encyclopedia Britannica. Emblematico è il caso dell’autorevole Dictionnaire de Spiritualité. Nella parte storica della voce “Mystique”, (SOLIGNAC, 1980) la parte riguardante il NT e i Padri non viene trattata, ma si rimanda alla voce “Mystère” del medesimo dizionario, e alla sezione storica della voce “Contemplation”; ma per la voce “Mystique” l’itinerario storico della mistica inizia dal medioevo. Alla mistica e ai Padri, poi, si dedica una breve sezione all’interno della sottovoce “Mystique. III. La vie mystique chrétienne”, (AGAESSE-SALES, 1980), quando affronta il periodo patristico. Gli autori che scrivono di mistica cristiana hanno in genere una parte storica, ma, a seconda della definizione, implicita o esplicita, che hanno di mistica considerano i Padri nella misura in cui abbiano o no quella idea di mistica. È il caso, per esempio, di VANNINI, 2018. Non esiste, dunque, un’opera che positivamente ricerchi la questione della mistica nei Padri.

La prima opera che parrebbe aver affrontato la questione in modo diretto è il famoso Ascetica e mistica nella patristica. Un compendio della spiritualità cristiana antica (VILLER-RAHNER, 1991). L’originale è del 1939 e pur con l’apporto decisivo di K. Rahner, il testo risente ancora, forse, di una idea di mistica e ascetica “classica”. Permane, inoltre, una ambiguità tra spiritualità e mistica, che troviamo anche in altri autori (cfr. le osservazioni in MCGINN, 2008, specialmente p. 44-45). L’opera fa una presentazione di singoli autori, come medaglioni tutto sommato autonomi, nei quali far risaltare gli elementi “mistici”, ma non si affronta la questione del periodo patristico in sé.

Una svolta notevole è stata data dalla storia della mistica occidentale di B. McGinn (MCGINN, 1991). Questo autore ha il pregio di dare una definizione di mistica, come vedremo tra poco, assai necessaria, senza la quale è difficile avanzare in questo campo. Il primo volume, oltre alla pregevole introduzione e una ricca appendice sulla questione dello sviluppo storico e fondativo degli studi sulla mistica, è dedicato alle radici e, diremmo, alle forme seminali di quello che poi si svilupperà in seguito. Tutto il primo volume, con l’eccezione dell’Appendice finale, è in pratica una trattazione dei Padri. L’unica limitazione, dichiarata, è che tratta solo di quei Padri orientali che abbiano avuto una influenza nella mistica occidentale, e nella misura in cui l’abbiano avuta.

Dopo aver presentato la triplice radice che deve essere considerata come influenzatrice della mistica cristiana, ovvero l’apocalittica del giudaismo del Secondo Tempio, la mistica filosofica pagana, soprattutto delle varie forme di platonismo, e le origini cristiane del tempo neotestamentario e dell’epoca che si indica tradizionalmente come “apostolica” (dalla metà del I secolo alla metà del II secolo), anche McGinn porta avanti la sua trattazione attraverso la presentazione di singoli autori, ma ciò che fa di questa opera una tappa indispensabile per chiunque voglia oggi occuparsi di questo tema, è che gli autori non sono trattati come “medaglioni” a se stanti, ma il loro studio è condotto sulla scia della sua definizione, ampia ed euristica, di mistica (che vedremo adesso). In questo momento, l’opera di McGinn è, a nostro avviso, lo strumento più utile che abbiamo per affrontare la questione della mistica nei Padri. Dovrebbe essere completata con la tradizione mistica orientale, soprattutto con i Padri di lingua siriaca (su tutti, i mistici siro-orientali del VII-VIII secolo), che sono restati programmaticamente fuori dal piano di lavoro di McGinn.

2 Di quale mistica parliamo?

La breve rassegna precedente rende, quindi, evidente che per poter affrontare la questione della relazione tra mistica e Padri, è naturale, come prima cosa, chiarire cosa si intenda per mistica. Ciò si rivela necessario in quanto è un termine su cui non si ha un consenso generale né una definizione chiara accettata da tutti. Questa precisazione, che ormai è in pratica un topos quando si parla di mistica, è ancora più necessaria quando si parla di mistica cristiana. Cosa si deve considerare circa la mistica quando si affronta il periodo patristico?

La prima cosa fondamentale che deve essere tenuta in considerazione è il nucleo della religione cristiana: il Verbo di Dio, che si è fatto uomo in Cristo è il cammino per giungere, nello Spirito Santo, a Dio Padre. Senza questa premessa è impossibile comprendere realmente la dimensione mistica nei Padri. Lo iato ontologico nelle tradizioni religiose che vedono una assoluta e invalicabile trascendenza tra Dio e il mondo, nel cristianesimo è superato in Cristo. La dimensione panteista di altre tradizioni religiose, nel cristianesimo non è presente, perché resta sempre la ontologica distinzione tra Dio e la creatura. Le conseguenze sono ovvie: una idea di mistica che “salti” la mediazione di Cristo o che consideri una qualsiasi fusione indifferenziata con il divino non può essere accolta nel cristianesimo e, ancora più importante per il nostro argomento, è assolutamente aliena dal periodo patristico. Ricercando nei Padri, perciò, si dovrà parlare senza ombra di dubbio di mistica cristiana, rivendicandone una specificità irriducibile rispetto a ogni tentativo di collocarla dentro una categoria più generale, come, per esempio, un caso di genere e specie.

Si deve, poi, considerare anche che pure all’interno del cristianesimo la comprensione del termine è mutata nei secoli. Anzi, sappiamo che mistica in origine era aggettivo e come sostantivo, e – quindi – lo sviluppo di una scienza relativa a questo quid, è una creazione relativamente recente. Come è noto, uno degli enzimi principali della ripresa dell’interesse verso la mistica da parte del mondo accademico fu un lavoro su Giovanni della Croce (BARUZI, 1924), oltre ad altre situazioni contingenti relative al clima culturale degli inizi del sec. XX, non ultima la guerra del ’14-18. A partire dagli anni ’50 appaiono una serie di pubblicazioni di testi di mistici e di studi storici sul fenomeno, che «hanno messo in rilievo la personalità degli autori mistici, la diversità delle loro esperienze e dei loro itinerari, al punto che la storia della mistica ha preso il sopravvento su una teoria generale della mistica» (SOLIGNAC, 1980, col.1891). Ma il modello dei mistici del XVI-XVII secolo, divenuto una sorta di princeps analogatum, è inapplicabile, ovviamente, ai Padri. La questione è che molte delle definizioni che vengono date portano dentro alcune premesse che restano più o meno occulte, delle quali una delle più comuni è l’idea niente affatto univoca di esperienza, sulla quale rimandiamo alle osservazioni dell’articolo di B. McGinn (MCGINN, 2008, 45-47).

A nostro avviso, e non solo nostro (cfr. ZARRABIZADEH, 2008, 86) la proposta che più è utile per affrontare la questione è quella di McGinn. La differenza fondamentale tra McGinn e le altre definizioni è che quella di McGinn prima di tutto è euristica, ovvero, una ipotesi di lavoro che serve a dare una direzione alla ricerca, ma che viene precisata via via dai risultati raggiunti. Inoltre, la sua “ampiezza” (“l’incontro tra di Dio e la persona, ogni cosa che porta a questo incontro e che lo prepara e ogni cosa che da esse scaturisce”, ZARRABIZADEH, 2008, 86) permette di includere tutte le dimensioni e gli aspetti che di solito resistono a definizioni più strette. Essa, infatti, permette di tagliare il nodo gordiano dell’enorme numero di aspetti che la questione mistica porta con sé, come i fenomeni “straordinari” (estasi, visioni, locuzioni, etc.) oppure l’inestricabile groviglio delle relazioni tra contemplazione, esperienza mistica, preghiera pura, notte e/o tenebre, luce/luce increata, divinizzazione e così via, tutte cose che si presentano come un mare magnum di questioni che lasciano interdetto il ricercatore che voglia entrare nell’argomento con un po’ di chiarezza.

Per il periodo patristico questo è ancora più importante, perché cerchiamo qualcosa che viene delineato (e ancora con difficoltà, come abbiamo detto) dal punto di vista “teorico” solo un migliaio di anni dopo. Il cuore della definizione di McGinn è il suo considerare la mistica come un tentativo di esprimere una coscienza diretta della presenza di Dio (cfr. MCGINN, 1991, p. xv-xvi; ma anche MCGINN, 2008). Il punto chiave, che permette di superare tutte le ambiguità legate alla questione della esperienza è l’approccio alla coscienza mistica. Ispirandosi alla metacoscienza di cui parla T. Merton (MERTON, 1972, 99-101), egli rilegge la nozione di coscienza a partire da B. Lonergan. Sarà, quindi, questa la prospettiva secondo la quale leggeremo il periodo patristico e proporremo, come abbiamo detto, alcune indicazioni a mo’ di prolegomeni necessari per un futuro lavoro su questo argomento, in special modo per i padri orientali, soprattutto siriaci.

4 Particolarità del periodo patristico

Così come si devono considerare le particolarità che il termine mistica deve tenere in conto quando si tratta dei Padri, così anche deve essere chiaro cosa si intende qui con periodo patristico. Per il nostro argomento la definizione di Padre della Chiesa non può essere quella classica che si usa, o si usava, in patrologia, ovvero un autore ecclesiastico che soddisfi i quattro requisiti di antichità (VII sec. per l’Occidente, VIII sec. per l’Oriente), santità di vita, riconoscimento della Chiesa e ortodossia. Questa definizione oggi è limitante anche per la patrologia, in quanto, a rigore, soprattutto per la questione della ortodossia, resterebbero fuori autori come Tertulliano, Origene, Teodoro di Mopsuestia, solo per citare i più famosi. Ora, se per una questione di ortodossia in teologia, intesa in senso assai restrittivo, si potrebbe anche comprendere, sebbene non accettare, il perché della loro esclusione in alcuni ambiti della riflessione, per il nostro caso sarebbe assolutamente fuorviante. Perciò, quando indichiamo i Padri in questa voce intendiamo tutti gli autori cristiani dei primi sette-otto secoli che abbiano lasciato degli scritti in cui sia possibile riconoscere una ricerca del contatto con Dio. Per il periodo storico, invece, restiamo nella comprensione classica, in quanto essa ha un intrinseco valore e plausibilità. Come è già stato osservato, in Occidente il VII secolo e in Oriente il secolo VIII (si prendono come limite simbolico Isidoro di Siviglia, morto nel 636, e Giovanni Damasceno, morto intorno al 750, rispettivamente come ultimo padre latino e ultimo padre greco) sono due termini dopo i quali l’unità culturale, in senso ampio, dell’antichità viene interrotta: in Occidente dallo stabilirsi dei regni romano-barbarici e in Oriente con il consolidamento definitivo dell’islam nei territori una volta cristiani (cfr. RATZINGER, 1971).

Il periodo patristico, poi, ha sempre avuto un’importanza speciale per la chiesa, soprattutto per il fatto che è il tempo in cui si sono formati il canone delle Scritture, le formule di fede, la liturgia, la scelta dell’uso della ragione nel pensare la fede (cfr. RATZINGER, 1971). Sono tutti elementi che costituiscono, come vedremo, la struttura di quella ricerca di Dio che, nella prospettiva di McGinn, è la vita mistica. Il periodo patristico, dunque, è anche il periodo dello sviluppo di quel cammino che sarà poi pensato come mistica. Ed è importante notare che, anche se non vi era il termine e non vi era ancora una chiara coscienza di cosa poi si sarebbe inteso come mistica, non si può certo pensare che non vi fosse la res, ovvero, la coscienza della presenza di Dio, ricercata, questo sì, in una maniera differente da come avverrà successivamente.

4 La coscienza mistica

Per comprendere a pieno la fecondità della definizione di McGinn applicata al periodo patristico si dovrebbe considerare il movimento di differenziazione della coscienza teologica dalle origini fino a Nicea, studiato da B. Lonergan (LONERGAN, 1982) e la sua continuazione fino al V secolo, con Calcedonia (PAMPALONI, 2015). In questa sede possiamo sintetizzare dicendo che per arrivare alla “svolta interiore” di Agostino, il “padre fondatore” della mistica occidentale secondo McGinn, la coscienza ecclesiale deve essere passata per un processo di differenziazione, come è avvenuto anche per lo sviluppo della coscienza teologica ecclesiale. La coscienza teologica ecclesiale indifferenziata dei primi secoli venne provocata alla sua prima differenziazione soprattutto da due grandi sfide, quella dello gnosticismo, soprattutto nel II secolo, e quella dell’arianesimo nel IV, che obbligarono la Chiesa a sviluppare un nuovo linguaggio e un pensiero che rispondesse a domanda di genere differente rispetto a quelle per le quali era sufficiente la Sacra Scrittura. Concomitante alla sfida ariana, e con un ruolo non trascurabile nella lotta contro di essa, si ebbe il fenomeno del monachesimo, che per lo sviluppo della mistica rappresentò la svolta secondo l’interiorità. Se in Occidente il “padre fondatore” fu Agostino, in Oriente, senza alcun dubbio, il padre che più ebbe questo ruolo, nella prospettiva più vicina a quella delineata da McGinn, fu Gregorio di Nissa.

Per approfondire la questione della coscienza mistica, oltre a MCGINN, 1991, rimandiamo a MCGINN, 2008, 47-53.

5 Nozioni fondamentali per una ricerca “mistica” di Dio nel periodo patristico

Fatte le dovute premesse, passiamo adesso a presentare quelle nozioni che riteniamo fondamentali da tenere in considerazione nel momento in cui si voglia considerare la questione della mistica nel periodo patristico.

Mistero

La prima di queste nozioni è quella di mistero. Uno dei maggiori studiosi di mistica Ch. André Bernard, dopo aver rilevato, come tutti, la difficoltà nello stabilire un senso preciso ai termini in gioco parlando di mistica, fa una osservazione utilissima. Oggi “per noi la connotazione di queste espressioni rinvia a un’esperienza psicologica particolare; per gli Antichi a una realtà nascosta” (BERNARD, 1994, 187). Qui risiede il punto chiave per intendere la nostra questione. Per i Padri, soprattutto fino al IV secolo, questa “realtà nascosta” è la nozione di mistero, ed è fondamentale. La centralità della persona di Cristo nei Padri prende da subito le dimensioni del mistero, termine dal quale, quindi, non si può prescindere per parlare della mistica in questo periodo.

Ma anche per parlare di mistero dobbiamo fare una osservazione previa. Quasi immancabilmente, viene fatto troppo rapidamente l’accostamento tra il termine mysterion (e quindi partendo dalla radice del termine greco si arriva alla mistica) e il mondo dei misteri ellenistici, con la deduzione di una serie di conseguenze fuorvianti. È vero che il termine originario del paganesimo entra nel vocabolario cristiano, ma esso, come in pratica sempre è avvenuto, subisce una torsione semantica per adattarsi al nuovo contesto. Soprattutto, «os “mistérios” são, em sentido próprio, “ritos sagrados” que só se revelam aos iniciados, [e] è depois do início do cristianismo, no hermetismo alexandrino (sécs II-III), que se começa a transferir a terminologia mistérica para indicar uma filosofia religiosa» (PASQUATO, 2003, p. 817). Fondamentalmente, il termine non ha mai avuto un senso religioso o sacro prima del suo uso nel cristianesimo. In questo senso è chiarissima e ancora non confutata l’analisi di BOUYER, 1949. È interessante notare che questo articolo viene sempre citato ma, nel momento di trarre le conclusioni, a giudicare da quanto viene sempre ripetuto, sorge il dubbio che venga realmente letto. Secondo Bouyer, è a) impossibile presentare la mistica cristiana come elemento importato dal neoplatonismo; b) i legami dello pseudo Dionigi, autore considerato “mistico” per eccellenza, con il neoplatonismo sono innegabili. Ma ciò che lo pseudo Dionigi stesso chiama mistica non è quell’esperienza che si vuole riconoscere in Plotino; c) al contrario, ci troviamo nella intersezione di tutta una tradizione spirituale specificamente cristiana di interpretazione scritturistica e di esperienza liturgica nella Chiesa (cfr. BOUYER, 1949, 23). Dunque, il peso della religione dei misteri nella formazione della mistica cristiana non può assolutamente essere sopravvalutato.

Il luogo scritturistico (non l’unico, comunque) che da tutti gli autori che si sono occupati del nostro argomento, viene considerato come fondante per la comprensione di mysterion nel cristianesimo (qui sì, con ricaduta nella questione della mistica cristiana) è 1 Cor 2, 6-10 (cfr. per un quadro generale del termine in Paolo BORNKAMM, 1971, coll. 692-700). Secondo Solignac questa concezione del mistero, nascosto in Dio e poi rivelato in Gesù Cristo, alla conoscenza del quale tutti i membri della Chiesa sono chiamati (e qui conoscenza non è nozionale ma una esperienza interiore nello Spirito Santo, cfr. SOLIGNAC, 1980, col.1862), implica una mistica: «Il mistero produce nel credente una luce e una forza che lo investono, lo avvolgono, lo superano, ma anche lo introducono in un movimento di riconoscimento e d’amore affettivo sull’esempio di Cristo e in comunione con lui» (SOLIGNAC, 1980, col.1862). Cristo non è solo il rivelatore del mistero ma il luogo dove si realizza la salvezza nei credenti. Lo specifico della mistica cristiana sta tutto in questo movimento descritto da Paolo. «Inicialmente se trata de uma experiência ordinária, de uma ação do Espirito que transforma o homem interior, levando Cristo a habitar nos corações, enraizando-os no amor» (cf. Ef 3, 16-17)» (PASQUATO, 2003, p. 817).

Una ricerca “oggettiva”

La domanda è: come si trova questa realtà nascosta? O, detto in altre parole, come posso entrare in contatto con Cristo, mistero nascosto? Gli ambiti di significato del termine mysterion identificati dalla profonda analisi di Bouyer fanno emergere i “luoghi” dove i Padri cercavano questo contatto. Ecco, allora, la caratteristica fondamentale che rende il periodo patristico completamente speciale riguardo alla mistica, ovvero, che il contatto con Dio è cercato in qualche modo “fuori”: nella Sacra Scrittura, nella liturgia e nei sacramenti e nella vita spirituale.

Luoghi patristici della ricerca

La ricerca di Dio nella Scrittura, eredità giudaica e dalla cultura alessandrina, è il primo luogo dove si cerca il mistero. La prassi sacramentale e le catechesi prebattesimali e mistagogiche fanno emergere una ulteriore dimensione di una unione a cui partecipa anche il corpo, e qui ruolo fondamentale lo riveste la Eucaristia. Il monachesimo permette di fare una sintesi a livello sia di ascesi che di esperienze di preghiera verso il “luogo” dell’uomo dove tutto questo risuona. Con Evagrio, soprattutto, e la sua enorme influenza sul monachesimo, ciò che specifica l’uomo è il nous e, perciò, l’attività più alta sarà la theoria, la contemplazione. E un nous purificato per mezzo dell’ascesi, sarà in grado di raggiungere la theoria divina, ovvero la theologia. Con Agostino si avrà la prima maturazione per la svolta totalmente consapevole verso l’interiorità come luogo dove incontrare Dio, sebbene con Gregorio di Nissa, pur espresso con termini ancora “oggettivi” ma già caricati di dimensione interiore, questo passaggio, a nostro avviso, stava già avvenendo.

Ora, però, c’è da considerare un aspetto ulteriore. Se e vero che la ricerca di questo contatto di Dio era “esterna”, la coscienza di questa presenza era ugualmente percepita. Non si esprimeva con un linguaggio dell’interiorità, ma possiamo riconoscere questa percezione negli autori.

Prendiamo la questione della ricerca di Dio nella Scrittura. L’esegesi dei Padri non è certo quella del metodo critico con la Formgeschichte o la Wirkungsgeschichte etc. La Scrittura è un modo con cui Dio parla al suo popolo e alla persona che si applica al suo studio, ovvero, che vi contempla la Sua presenza. Non è una applicazione solo intellettuale, ma coinvolge tutto l’interprete. E quanto più egli cresce nella familiarità con la Scrittura, quanto più dentro cresce la unione con Dio, non di rado (come Origene stesso, per esempio, ogni tanto lascia trapelare) sperimentando talvolta una allegria e una, diremmo in termini ignaziani, consolazione che nasce proprio da questa ricerca e che chi la sperimenta sa che viene da “altrove”. La difficoltà è che raramente in questo periodo, per le ragioni di cui abbiamo già detto, gli autori sono “autobiografici” nel riportare le loro esperienze. Preferiscono farlo esprimendosi per mezzo di typoi scritturistici, come Mosè o la Sposa del Cantico. Quando Gregorio di Nissa parla del “sentimento della presenza” (aisthēsis tēs parousias) lo paragona, per esempio, al profumo: lo si sente, ma non si sa da dove provenga e non si può “prendere”, conservare, limitare, racchiudere (PAMPALONI, 2011, 254-259). Se invece di “esperienza spirituale”, espressione vaga e problematica, leggiamo in Gregorio di Nissa la coscienza di una presenza, siamo perfettamente dentro quanto McGinn intende con coscienza mistica, e possiamo riconoscere questo in Gregorio. Uno dei testi più belli delle Omelie sul Cantico dei Cantici di Gregorio mostra quanto stiamo dicendo: “Sebbene, infatti, i pozzi racchiudano l’acqua dentro il loro recinto, soltanto la sposa ha in se stessa un’acqua che fluisce in continuazione, di modo che essa possiede insieme la profondità del pozzo e il movimento continuo del fiume” (GREGORIO DI NISSA, 1996, 208, traduzione lievemente ritoccata). Questo è un esempio preclaro di un linguaggio “oggettivo” che però si riferisce alla coscienza di qualcosa interno al soggetto. In questo senso, personalmente riteniamo che Gregorio di Nissa sia stata una coscienza molto più differenziata di quanto si possa pensare e, sebbene, forse, non sia a livello di Agostino, il suo percorso è notevole, come abbiamo proposto in un altro lavoro (PAMPALONI, 2011, 248-250). Non troviamo, quindi, azzardato considerare Gregorio di Nissa come “padre fondatore” della mistica orientale. McGinn lo considera solo nella misura in cui ha influenzato la mistica occidentale, ma il suo ruolo nella mistica orientale non può essere sottovalutato (cfr., per esempio, PUGLIESE, 2020).

Se poi ci soffermiamo al secondo ambito indicato da Bouyer, quello liturgico sacramentale, troviamo sia una conferma di quanto indicato per la Scrittura, sia un elemento in più, ovvero la partecipazione del corpo in questa ricerca. Nelle catechesi pre e post battesimali il vescovo doveva spiegare ai neofiti cosa era avvenuto nella notte di Pasqua e di come il gesto esterno ripercuotesse i suoi effetti all’interno. La comunione con Dio ricercata nella Scrittura acquista qui un senso concreto di comunione. Possono esserci accenti diversi: la tradizione alessandrina è più propensa a parlare di divinizzazione del fedele per la partecipazione alla divinità del Logos; la tradizione antiochena parla di unione all’umanità di Cristo risorto; Gregorio di Nissa ha la sua particolare “cristologia della trasformazione”, e così via. Ma si sottolinea questa unità che è reale ed effettiva grazie al Battesimo e, in modo ancora più speciale, con l’Eucaristia. Quindi, potremmo dire, l’unione mistica è in virtù del Battesimo-Eucaristia. È la coscienza di questa unione che si sviluppa nella misura in cui si sviluppa la riflessione su tale coscienza. Per questo si potrebbe avere l’impressione che la mistica non appartenga al periodo patristico, mentre invece semplicemente si esprime in maniera diversa ma che punta verso una direzione che porta a quello che possiamo considerare il fenomeno secondo quanto indicato da McGinn.

Il terzo ambito, quello spirituale, possiamo considerarlo come l’unione dei primi due, il risultato a dove approda il processo di sviluppo che abbiamo delineato, l’ambito dove i Padri usano mistico per parlare di una conoscenza, dice Bouyer, quasi sperimentale. Ambito quello della Scrittura, come per Origene e Gregorio di Nissa, come abbiamo visto, e quello liturgico sacramentale, dove la ricerca dell’unione trova come medium la corporeità. La liturgia, specialmente orientale ma non solo, diventa il luogo dell’incontro, della trasformazione, della divinizzazione – se parliamo in termini alessandrini; dell’innesto nell’umanità resuscitata di Cristo, se siamo in ambito antiocheno. A questo rispetto, tutta l’opera dello Pseudo Dionigi è una manifestazione di questo intreccio fondamentale, sebbene la sua influenza sia stata soprattutto in Occidente piuttosto che in Oriente, dove è arrivato “tardi” (HAUSHERR, 1935, 124-126) per dare l’impronta che invece si deve riconoscere a Evagrio Pontico.

Pasquato, nel suo articolo citato (PASQUATO, 2003) aggiunge una quarta dimensione, che in realtà è una sorta di sintesi come quella che noi abbiamo inserito nella dimensione spirituale: è quella mistico-divinizzante. Meditando il mistero nella Scrittura, contemplandolo e partecipandovi nella liturgia, il mistero stesso – ovvero Cristo – si compie nel credente, che viene così divinizzato.

Infine, notiamo che per i Padri questa ricerca del mistero, che è Cristo, condotta nella esegesi e ricercata nella dimensione liturgico-sacramentale è compito ecclesiale, sono dimensioni che un autore dei primi sette-otto secoli non avrebbe mai concepito al di fuori del corpo di Cristo che è la Chiesa. La dimensione individuale di una esperienza mistica, indipendente dall’ambito della comunione ecclesiale, è estranea al pensiero patristico, anche quando emerge la coscienza di un incontro personale. Questa è il vero senso dell’esprimere la propria coscienza della presenza di Dio in termini di personaggi biblici esemplari: non siamo atomi nell’esperienza di Dio, siamo dentro il corpo di Cristo che è la Chiesa.

Conclusione

Alla fine del percorso possiamo così riassumere la nostra esposizione. Dopo aver chiarito alcuni elementi metodologici (la definizione di mistica che assumiamo per poter parlare del periodo patristico, ovvero quella di McGinn) e in conseguenza a tali criteri, alcune particolarità del periodo patristico che devono essere considerate per il nostro argomento, abbiamo individuato alcuni aspetti che devono essere presenti quando si voglia considerare la questione mistica nei Padri.

Il primo elemento che a partire dalla definizione di McGinn noi possiamo considerare è che realmente il IV secolo sembra essere il momento in cui appare una coscienza della presenza di Dio in modo esplicito. In Occidente il padre fondatore è Agostino, per l’Oriente, personalmente, consideriamo che questo titolo spetti a Gregorio di Nissa. D’altro lato, tale definizione ci permette di non privare di “mistica” i Padri precedenti, perché la ricerca dell’unione e del contatto con Dio è da sempre presente in tutta la storia del cristianesimo. Questo “luogo” di ricerca di tale contatto e unione è il mistero, in senso paolino, ovvero Gesù Cristo Verbo del Padre incarnato, morto e resuscitato. Nei primi secoli, la ricerca di questo mistero è diretta verso un “esterno”. Nella Sacra Scrittura, con l’esegesi, specialmente allegorica, che ricerca questo contatto. Nella liturgia e nei sacramenti, dove questo contatto passa per la mediazione, in qualche modo, “fisica” e trova l’unione mistica per eccellenza nell’Eucaristia. Infine, nella dimensione spirituale, che è il ponto verso quella svolta agostiniano-nissena che aprirà il cammino alla mistica come la intendiamo con McGinn, provocata e accelerata dal fenomeno monastico, dove le due dimensioni precedenti si uniscono e permettono di prestare attenzione al cosa avviene “dentro”, quando si legge la Scrittura e quando si celebra la liturgia.

A questo proposito, una ricerca sulla mistica nel tempo patristico potrebbe essere foriera di grandi e salutari insights per vivere a nostra volta queste dimensioni. Una ricerca di come i Padri cercavano questa unione con Dio, per mezzo della Scrittura e della liturgia, non può restare solo storia della mistica. A nostro avviso, con una coscienza differenziata secondo la mistica, come possiamo avere oggi dopo il progredire degli studi, ritornare a leggere la Scrittura e a vivere la liturgia e i sacramenti in prospettiva come quella patristica, non potrebbe che portare nuovo ossigeno alla nostra vita spirituale, spesso tentata di appiattirsi su dimensioni unicamente orizzontali.

Grazie alla definizione di McGinn abbiamo delle linee che possiamo applicare allo studio della mistica nei Padri. Resta ancora tutto da fare un lavoro simile applicato ai Padri orientali.

 

Massimo Pampaloni

Referências

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